Romanzi

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Mario Soldati non è certo stato uno scrittore stanziale: Torino e New York, Roma e Corconio (sul lago d'Orta), Roma e Milano, Milano e Tellaro. Gli spostamenti e le permanenze che ne segnano la biografia indicano già tratti salienti della sua personalità intellettuale. Torino 1906, dove nasce, e New York 1929, dove approda poco dopo il venerdì nero: il radicamento piemontese (in una tradizione di famiglia, in un ceto e nell'orizzonte sociale che lo incorniciava, in una cultura) e la vocazione cosmopolita (viaggio come tappa decisiva di formazione, ma viaggio in senso forte, un viaggio lontano, vissuto come straniamento, sentito e cercato come seconda nascita). Scrittore subalpino, ma che l'Italia ama tutta, di un amore senza belletti e rimozioni (gli piaceva citare la ruvida formula di Longanesi: "siamo animali feroci e casalinghi") e che continua a percorrere e descrivere nei viaggi su carta e in tv, nelle rubriche giornalistiche e nei cicli di racconti, come quello pensato all'inizio degli anni Sessanta nei modi di un Decamerone contemporaneo, fermo per gusto d'asimmetria e senso del limite alle Novantanove novelle. Ma anche scrittore sovranazionale, 'europeo', che scrive in italiano ("però un italiano anglofrancese") e a volte scriverebbe 'in tre lingue' - come un po' ha fatto in "Lo smeraldo". Non italiano ma anglofrancese è anche il quartetto di autori che più ricorre nelle sue riflessioni letterarie: Baudelaire e Proust già interlocutori reticenti in uno dei primissimi racconti pubblicati, "Laurea in lettere", e James e Stevenson tante volte evocati in interviste e divagazioni giornalistiche. Passare i confini, del resto, è il gesto chiave del suo stare al mondo [...] (dal Saggio introduttivo di Bruno Falcetto)
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