Manfred

Manfred

L'incontro della poesia di Patrizia Valduga con la pittura di Giovanni Manfredini - un incontro che questo libro ci mostra nell'affascinante materialità del suo farsi, pagina dopo pagina, ritmo e immagine - è, naturalmente, nel segno del nero, simbolo per entrambi dell'intreccio mortale e salvifico fra libertà e costrizione, fra l'azzardo del 'cosa' e il rigore del 'come'. Per la Valduga (lo sappiamo sin dal suo primo libro, e il suo lavoro successivo ce ne ha fornito conferme sempre più perentorie) a garantire la forza, l'audacia, l'integrità della voce è la confidenza con la tradizione, l'obbedienza non meno sovvertitrice che amorosa alle forme del passato; Manfredini - analogamente o, forse, simmetricamente - disciplina e organizza il caos della materia proiettandovi a caldo le impronte del proprio corpo, assoggettandola alle norme del suo essere (e divenire) biologico. Ma più che a scoprire arbitrarie, feconde analogie fra due linguaggi e due mondi felicemente non sovrapponibili, un libro come questo - un libro, è il caso di sottolinearlo, davvero senza precedenti, radicalmente lontano com'è da qualsiasi proposito di 'illustrazione' e 'commento' reciproci - invita il lettore-fruitore ad approfittare dello straordinario campo magnetico creato dalla sua stessa esistenza, ad avventurarsi o inerpicarsi lungo tutte le vibrazioni, tutti i fili di senso, tutte le correnti di verità e di emozione che da esso irresistibilmente si sprigionano.
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