Dorian

Dorian

Il Dorian Gray di questo secolo, fresco di una laurea in arte a Oxford e fornito di cospicue sostanze famigliari, fa il suo 'début' londinese nel 1981, poco prima che Lady Diana Spencer convoli a nozze reali. Lo scopre Basil Hallward, artista omosessuale che aveva bazzicato la 'factory' di Warhol negli anni Settanta e primo innamorato di Dorian. A quello che considera il simbolo di una nuova generazione di 'gay liberati' Basil Hallward dedica il "Cathode Narcissus", un'istallazione video che consegna la bellezza del giovane all'immortalità. Ed è quello che in effetti accade: come il ritratto nel romanzo di Wilde, i nove 'doppi' di Dorian attraverseranno le mille tappe della depravazione del protagonista, riportandone le cicatrici e i sintomi, mentre il soggetto del ritratto rimarrà intatto nella sua surreale, intangibile bellezza. Attraverso Basil, che mai smetterà di amarlo, Dorian incontrerà Henry Wotton, aristocratico, ricco, sposato, snob, cinico, mai innamorato di Dorian e sempre interessato a possederlo, e inziarlo alla 'débauche' attraverso ogni genere di esperienza estrema negli stessi anni in cui l'Aids e le sue maschere compaiono sulla scena gay e la contaminano con la grande paura della peste. Incurante di tutto e di tutti, Dorian intraprende con grande energia e baldanza la sua carriera di arrampicatore sociale, cacciatore di prede bisex e, infine, untore. Sono gli anni dello yuppismo e dell'edonismo reaganiano, e il nostro salta da una mansion nobiliare inglese a uno scantinato gay sado-maso di New York, sempre identico a sé stesso, sano come un pesce, bello come un angelo ed esaltato dalla sua stessa inviolabilità. Figura emblematica di quegli anni e di una generale - presunta più che effettiva - identità gay, Dorian Gray interpreta la cultura omosessuale narcisistica e aggressiva degli anni Ottanta con piglio cinico e amorale. Con l'affascinante limpidezza di una scrittura che riesce a mantenersi brillante anche davanti a questioni tutt'altro che lievi come la malattia, la dipendenza e la morte, Will Self rappresenta - senza pietismo e con grande potenza lirica - le illusioni, l'esaltazione, l'ispirazione, il senso di libertà, l'eccesso, la peste e le sue tragiche conseguenze senza mai un'ovvietà. Quello che ne risulta è un ritratto sulfureo e ispiratissimo di un'epoca che ha fatto dell'apparenza e della superficialità di massa il suo credo assoluto.
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