La montagna magica
Il lussuoso sanatorio Berghof domina Davos, nelle Alpi svizzere. Qui giunge da Amburgo «un giovane uomo come tanti», l’aspirante ingegnere Hans Castorp. Ma la sua visita di tre settimane al cugino tisico si trasforma in una permanenza di sette anni perché Castorp si scopre malato. La sua lunga avventura sul monte «pazzo di magia» assume così i contorni di una fiaba, di un romanzo di formazione, di un’indagine filosofica sul tempo, di una storia iniziatica all’ombra dell’orrore della Storia: «un documento della psicologia europea e dei problemi spirituali nei primi trent’anni del ventesimo secolo», dichiarerà lo stesso Mann. Composto all’indomani della Grande Guerra, La montagna magica vive in una dimensione onirica e allegorica che molto deve anche alle suggestioni freudiane. Attraverso la propria esperienza e la conoscenza degli altri malati – il massone umanista Settembrini, il cupo gesuita Naphta e la sensuale nobildonna russa Clawdia Chauchat, di cui si innamora –, Castorp, incarnazione del “perdigiorno” romantico attratto dall’estetica della morte, supera la propria malattia – morale prima ancora che fisica – per approdare alla conclusione che solo l’amore, l’eros creatore di vita e di pensiero, e non la ragione, può salvare l’uomo.
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