L'aids e le sue metafore

L'aids e le sue metafore

Ogni epoca e ogni società sembrano avere un oscuro bisogno di una malattia che dia corpo a ansie, paure, fobie collettive, e che sia possibile identificare con il Male.La demonizzazione della malattia ha come prima conseguenza l'attribuzione di una colpa segreta al paziente. Dieci anni fa, Susan Sontag sperimentò nella propria esperienza di malata che il cancro imprimeva una sorta di marchio su chi ne veniva colpito: era considerato (e lo è in parte tuttora) la malattia degli sconfitti e dei depressi. Fu proprio per combattere quest'uso mortificante della Malattia come metafora che la Sontag scrisse il libro dallo stesso titolo, che ha avuto vasta eco non soltanto negli Stati Uniti, e che Einaudi ha tradotto in questa collana.Ma ecco che una nuova malattia (o per meglio dire una situazione clinica che prelude a un vasto spettro di malattie tutte mortali) è venuta a sostituire il cancro come immagine di pestilenza contemporanea. La forza metaforica dell'Aids, dice la Sontag, nasce dall'aura misteriosa che la circonda e dal fatto che non si è ancora trovata una terapia adeguata. Dopo aver inquadrato l'attuale realtà clinica del fenomeno, la Sontag passa a studiare come esso viene vissuto e rappresentato nell'immaginario collettivo. Sin dall'antichità le malattie sono state intese come giudizio sulla collettività, e poi come punizione per una trasgressione individuale. Esiste un rapporto diretto tra il concetto di malattia e il concetto di ciò che è straniero, quindi minaccioso e aggressivo: non a caso si dice che il contagio dell'Aids arrivi dal Terzo Mondo. La paura dell'Aids rafforza la cultura dell'individualismo e dell'isolamento, modifica mentalità e comportamenti.Susan Sontag ha scritto anche questo libro con la passione civile, la lucidità e l'ampiezza dei riferimenti culturali (da Lucrezio a John Donne, da Debussy a Thomas Mann) che siamo abituati a riconoscerle.
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