Da Berlino a Gerusalemme. Ricordi giovanili

Da Berlino a Gerusalemme. Ricordi giovanili

Poco prima di morire Gershom Scholem ampliò notevolemente il testo dei suoi ricordi di gioventù "Da Berlino a Gerusalemme". Mentre nella prima versione veniva descritto l'ambiente ebraico tedesco durante la Prima guerra mondiale, in questa edizione il centro della sua analisi si sposta maggiormente verso Gerusalemme, soprattutto con il progetto di una nuova vita culturale e sociale per lo Stato di Israele. E' la storia di un itinerario intellettuale ricco di incontri con alcune figure chiave del periodo come Martin Buber, Franz Rosenzweig e Samuel Agnon che, nello stesso tempo, rivela il tentativo di definire una nuova identità ebraica, attraverso la difesa della lingua e le ricerche sulla mistica. "Dai ricordi di Scholem emerge l'immagine di una città tranquilla, con strade ancora parzialmente in terra battuta e con grandi estensioni di verde quasi agreste. In verità, la Berlino di quegli anni, che contava ormai due milioni di abitanti, era il primo centro industriale dell'Europa continentale, e si era avventurata in una crescita vorticosa, gravata di contrasti. Proprio le industrie, e in specie quelle metallurgiche, promettevano pressoché illimitate opportunità di lavoro, anche femminile, ed erano diventate il motore di uno sviluppo urbanistico senza precedenti. Nonostante vistosi squilibri di censo, Berlino non conosceva a quel tempo barriere sociali ben definite, ma viveva piuttosto in un fluttuante stato di fermento, con rapide ricchezze e altrettanto precipitose rovine". "La città in cui giunse il giovane berlinese era ancora intorpidita dopo il secolare dominio ottomano, cui solo nel 1920 era succeduta l'amministrazione mandataria britannica. La vita a Gerusalemme non aveva la ruvidezza entusiastica delle colonie dei pionieri sionisti di Galilea ma un tono piú contemplativo, che meglio si addiceva alle inclinazioni intellettuali. Scholem andò ad abitare in via Abissinia, una strada che collegava la cittadella ortodossa di Meah Shearim con il quartiere coloniale. Una posizione topografica che era quasi metafora del suo personale atteggiamento nei confronti dell'ebraismo tradizionale. Il suo studio del misticismo rappresentava infatti la ricerca di un contatto col passato, ma esprimeva anche un inevitabile senso di estraneità. La critica filologica, che lo spingeva a vedere nella religione una fenomenologia dello spirito, finiva per raffreddare il magma della tradizione nell'oggettività della storia". (Dalla postfazione di Giulio Busi)
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