Quasi un'infanzia

Quasi un'infanzia

Quasi un'infanzia è la storia di un bambino. Di un bambino nato qualche anno prima dell'inizio della seconda guerra in una famiglia molto privilegiata: il padre è un industriale tedesco (ma anche un alto esponente del regime nazionalsocialista), la madre proviene da una famiglia di proprietari terrieri austriaci. Non si tratta però di un libro di ricordi in senso tradizionale, perché il punto di vista scelto dall'autore è rigorosamente quello del protagonista, a cinque, sei, sette, quattordici anni. Il lettore vede tutto con gli occhi prima del "bambino", poi del "ragazzo", ne intuisce il faticoso adeguarsi al rigore degli adulti, è partecipe dei suoi momenti di stupore e di profonda felicità, inciampa con lui negli spesso esilaranti trabocchetti della lingua dei grandi. E poi c'è la guerra, che se non comporta particolari disagi materiali, implica tuttavia periodi sempre piú lunghi di lontananza dal padre, tutt'altro che compensati dalla frequentazione dei vari zii Hermann, Albert, Josef, gli alti papaveri del nazismo, e persino del papavero sommo, il Fuhrer. La fine del conflitto segna l'inizio di un duplice processo di trasformazione: per il protagonista che in collegio matura il distacco dall'infanzia; e piú in generale per la famiglia: il padre viene condannato a morte a Norimberga, la madre cerca con scarso successo di rientrare nell'ambiente dell'opera lirica, i nonni non possono ormai piú impedire il definitivo dissolvimento del loro mondo. Ed è come se la vecchia Austria, l'Austria nostalgicamente rievocata da Josef Roth, morisse una seconda e ultima volta.
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