Punk capitalismo. Come e perché la pirateria crea innovazione

Punk capitalismo. Come e perché la pirateria crea innovazione

Tutto ha avuto inizio col punk. Una cultura giovanile che ha fatto del riuso "non autorizzato" delle immagini e della musica preesistenti la propria cifra stilistica. In sintesi, una forma di pirateria di massa a fini espressivi. In rapida successione hip hop, rave, graffiti e industria dei videogame, in combinato con la facilità d'uso degli strumenti tecnologici, hanno diffuso su un altro piano le idee portanti che stavano alla base del movimento punk. Basti pensare all'hip hop, nato sull'utilizzo "non autorizzato" di linee melodiche a suo tempo rese famose da James Brown e da tutti i grandi artisti del funk. Tutte le icone più importanti della pop culture a vario titolo sono stati coinvolti in questo processo di riuso: dai Ramones a Andy Warhol, da Madonna a Pharrell e 50 Cent. "Punk Capitalismo" ci racconta di come le culture giovanili in questi ultimi trent'anni abbiano guidato il processo di innovazione e cambiato il modo in cui il mondo lavora e funziona, offrendoci una diversa prospettiva della pirateria, vista prosaicamente come un altro modo di fare business. Oggi, molte imprese si trovano a dover fare i conti con un dilemma sempre più lacerante. Se la pirateria continua a terremotare il modo in cui usiamo l'informazione, come dobbiamo rapportarci? Dobbiamo reprimerla, costi quel che costi, o diversamente cercare di capire perché sempre più si diffondono modalità di pirateria digitale? Dobbiamo trattare la pirateria come un problema o al contrario come una soluzione?
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