Cima delle nobildonne

Cima delle nobildonne

"Ho una sorpresa per te, puoi venire?, vieni, se puoi, prima possibile. Non ci crederai, ho qui sul tavolo il dattiloscritto del mio nuovo romanzo, l'ho appena finito", mi disse per telefono Stefano D'Arrigo. Non era però una sola, erano due le sorprese: aveva sempre accennato a racconti, e ora invece mi avrebbe consegnato il dattiloscritto di un romanzo. Per telefono mi disse anche il titolo: "Hatshepsut". "Chi?" domandai, "l'Hatshepsut, la sovrana egizia che è stata l'unico faraone donna? Ho inteso bene? È un romanzo sul personaggio storico cui viene intitolato?" "No" mi disse D'Arrigo "non è un romanzo storico, c'è anche un po' di storia, sì, parecchio Egitto, qualche leggenda ebraica, degli arabi in prima fila, un paio di americani, ma non è la loro storia, semmai la nostra, fatta di ogni nostro passato, compresi loro. Non pensare al personaggio, pensa alla parola che lo nomina. Hatshepsut, come dice la parola egizia che la traduce in italiano, è la prima delle donne, la più elevata, la cima delle nobildonne." Passai da Stefano per ritirare il dattiloscritto, ma non erano finite le sorprese. Dopo un po' mi consegnò il testo del suo nuovo libro, e fin qui tutto normale. Lo strano successe quando mi chiese di leggerlo subito lì da lui. Mi invitò in una stanzetta: "Starai più comodo e più isolato" mi disse. Così lessi "Cima delle nobildonne" sentendomi il fiato sul collo. Ero sconcertato ed ero conquistato. Già nelle prime pagine c'erano quattro eventi eccezionali da riportare dentro una lingua perspicua, austera e oggettiva: l'italiano che non si scompone dinanzi a nessun evento, anzi addomestica scandali logici ponendo accanto e alla stessa altezza la più avanzata e quasi avveniristica realtà scientifica (l'operazione di neovagina) e la fantasia più anacronistica: la reincarnazione. Così la prima cosa che notai, o meglio, da cui fui attirato in "Cima delle nobildonne", fu la lingua. A D'Arrigo bastava avere generato una nuova lingua: i fatti, figli ignoti dell'esperimento, sarebbero seguiti, come il realismo che nasce dall'avanguardia. A libro concluso, uscendo dalla stanzetta, non potevo spiegare: avrei dovuto pensarci più a lungo, attrezzato al difficile compito di capire quello che D'Arrigo non vuol far capire, bensì sentire. Perciò mi limitai a elencare cosa mi era piaciuto di più. E fu la festa degli aggettivi. Capisco meglio ora perché il romanzo ha come titolo Hatshepsut. Quella donna è un modello per la cultura, compresa la letteratura. Così si vince: è la prima donna arrivata a occupare un ruolo regale che prima e dopo è stato degli uomini. Dunque una donna unica. Sia così pure lo scrittore: crei una figura capace di diventare un mito e non si preoccupi se non fa dinastia. (Walter Pedullà)"Cima delle nobildonne" ha segnato, nel 1985, il ritorno al romanzo di Stefano D'Arrigo dopo il tour de force di "Horcynus Orca". E' un cambiamento totale di scenari e atmosfere: non più il mito omerico, lo sfrenato sperimentalismo linguistico, ma un itinerario di conoscenza nei templi della medicina e una lingua secca e tagliente, limpida ma percorsa da profonde correnti simboliche. Il romanzo si svolge tra laboratori di ricerca e ospedali d'avanguardia, dove assistiamo alla vertiginosa operazione chirurgica per trasformare in vera donna il bellissimo ermafrodito adolescente amato dall'emiro di Kuneor. Tra gli interrogativi della scienza e le più sfrenate invenzioni fantastiche, un romanzo per parlare dei più universali dei temi: la vita e la morte.
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