Wallenstein. Il campo di Wallenstein. I Piccolomini. La morte di Wallenstein

La trilogia del Wallenstein, rappresentata al Teatro di Corte di Weimar tra il 1798 e il 1799, ripropone con grande realismo congiunto a momenti di intenso lirismo una delle figure storiche più potenti e più tragiche vissute nell' Europa insaguinata dalle guerre di religione del XVII secolo. Attraversato da esistenziali interrogativi sulla vita militare, sulle dinamiche perverse della guerra, sull'ambivalenza del potere, sul dissidio fra amore e onore, questo complesso esperimento teatrale costituisce una delle vette dell'intera produzione schilleriana. In esso il protagonista si misura con la crudeltà di un destino che, grazie alla complicità delle stelle, egli ritiene propizio, con la menzogna e il tradimento di chi lo attornia, con la solitudine cui la storia lo condanna. Schiller problematizza il "realismo" politico di Wallenstein e del suo generale Ottavio Piccolomini in nome di un'esigenza morale e libertaria che rischiari la crudezza della vita politica, e ripropone il problema della realizzazione di quella pace cui Wallenstein vanamente aspira. Al medesimo tempo, egli offre un esempio significativo dei controversi rapporti fra arte e realtà che sottendono l'azione drammatica e della scissione dolorosa fra idealità e mondo reale, fra volontà individuale e "necessità" storica. Una scissione, questa, in cui è inevitabile veder riflesso anche quel doloroso iato fra mondo morale e mondo storico che per Schiller (non meno che per Goethe) caratterizza la propria epoca e da cui è scaturita l'amara "rinuncia" dell'intellettuale impossibilitato a conciliare azione e virtù.