La guerra e gli asfodeli. Romanzo e vocazione epica di Beppe Fenoglio

La guerra e gli asfodeli. Romanzo e vocazione epica di Beppe Fenoglio

Fenoglio, il meno formalista tra i prosatori del Novecento, è stato quello più di tutti teso alla ricerca di uno stile. Il suo viaggio dentro e verso una dura, scolpita e corposa lingua approda a un italiano acuminato, scarnificato, essenziale, eppure ebbro di ribollente maestà. Ossessionato dal sospetto verso la parola, dal timore del “mediocre” e della facilità narrativa, Fenoglio insegue, nelle due redazioni del Partigiano Johnny, un suo sogno formale: l’alta gravità dell’inarrivabile sublime. Sul “caso Fenoglio” fiumi d’inchiostro sono stati versati da critici e filologi, ma problemi – sacrosanti – di date, inchiostri, varianti, note in margine hanno preso a lungo il sopravvento, dilagando sulla sua pagina al punto da offuscare anche gli splendori di un romanzo d’eccezione che ha saputo sublimare la cronaca, e volgersi ai problemi ultimi: gli interrogativi del destino, la morte, la violenza, il bene e il male, la libertà, la pace. Il saggio di Gian Luigi Beccaria – uscito in prima edizione nel 1984 e ripubblicato qui per la prima volta in versione aggiornata dall’autore – ottenne a suo tempo di riacquistare al Partigiano la dignità del capolavoro incompiuto, riconoscendone la tensione massima di scrittura, e si presenta al lettore di oggi come un classico della critica fenogliana.
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