Sdisorè

Sdisorè

Stavolta i "traghichi eroi del testorianus" mettono in scena l'Oreste, anzi l'Orestes, per non dire l'Orè. lo scarrozzante dell'"Ambleto" è diventato l'incarnazione dello Spirito del Teatro, un Anghelos che ha solo bisogno di un pò di maquillage sfatto e purulento della stessa marca del cerone dolciastro e molle che usavano, negli anni '50, le più infime sciantose dell'avanspettacolo per trasformarsi in ognuno degli officianti della tragedia. L'exitus? Svanire, nell'eco dell'ultimo verso, in una scia fonetica, forse addirittura in una rimembranza di ciò che fino a ieri veniva definita 'rima'. Ormai Testori, all'acme della sua grande stagione di Teatro Verbale, si accanisce con magistrale coerenza sul suono trascorrendo dal borborigmo all'urlo fino a divorare qualsiasi nozione di lingua nella lebbra orgiastica della distorsione e dell'accumulo dei prediletti lombardismi, dei preziosi francesismi e dei rimandi al melodramma e persino all'operetta. L'emozionante liquidazione della parola promuove ancora una volta la metafora fallica ad asse portante di questo rabbioso redde rationem: di tutto e tutti ha ragione la "verga saturnala" di un Orestes giovane e maledetto, impregnato dello "spermamors" come un fantasma vomitato dal ventre della terra. La "carn'ispada" fruga oscena nelle viscere di Clitennestra e celebra il matricidio nell'esultanza di un'orgia dove la parola si piega e si flette fino all'estremo limite di resistenza. La tappa successiva sarà la coprofagia che sommergerà questo Oreste fanciullo, già sopraffatto dall'epilessia, spingendolo a una inesorabile scissione. Accanto a lui, la "fradella cara" Elettra più che Agamennone evoca lo spettro di Guglielmo Marconi, reo di non averla resa dinamismo e folgore, pura elettricità che inghiotta al suo passaggio la malefica coppia degli assassini e la folla sanguinosa delle Furie... Mai come in questa "straghica azion orestaiata", Testori strania tra impudico livore e angelici trasalimenti l'amato paesaggio natale: la Slombardia della "Gilda" e dell'"Arialda", della "Maria Brasca" e della "Cattedrale", è oggi l'atroce scampanio di Inverigo che martella l'ansia ossessiva del 'perdon' invano cercato dal protagonista. Il macabro snodarsi dei fiumi, dal Po allo sLambros fino all'Adda tramutato in Ades, è lo scenario in cui Testori colloca l'estremo punto di fuga: una discesa al Maelstrom dove l'eroe valica l'abisso del tempo rifiutando qualsiasi riscatto che non sia unico e totale.
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