C'erano i papaveri nei campi

C'erano i papaveri nei campi

Frastuono, odori nauseanti e una moltitudine brulicante di persone da far girare la testa... così appare Roma al piccolo protagonista di questo romanzo, appena sceso alla stazione Termini. È il 1962 e la sua famiglia, come molte altre in quel periodo, si è appena trasferita nella capitale dall'Abruzzo, andando ad occupare uno dei tanti lotti che sorsero, a partire dagli anni Cinquanta, nella periferia romana, destinati ad ospitare anche la nuova forza lavoro che arrivava dal centro-sud. È qui, a Pietralata, che il ragazzo cresce e diventa adulto in anni che segnarono profondamente la cronaca del nostro paese. C'è tanta storia d'Italia in questo romanzo autobiografico, la storia delle lotte studentesche e degli anni di piombo, ma anche e soprattutto la storia della quotidianità delle borgate romane, dei giochi tra i palazzi, delle sfide lanciate dal coattello di turno, che - più o meno pericoloso - dettava legge su tutto il vicinato, di pomeriggi oziosi a parlare di cambiare il mondo, senza avere ben chiaro in mente cosa volesse dire. E senza rendersi conto che, intanto, il mondo stava cambiando davvero, a cominciare da quei prati che circondavano i palazzi e su cui, oramai, non spuntavano più i papaveri.
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