Shamshu Subramani. l senso umoristico (e un po' buddistico) del non essere

Shamshu Subramani. l senso umoristico (e un po' buddistico) del non essere

Dopo una cocente delusione d'amore, due incontri cambieranno radicalmente la vita di Shamshu Subramani: il monumento del Taj Mahal e un libro di Pukraj Rastogi. Due appuntamenti col destino che gli riveleranno quanto l'Io sia una finzione umoristica del non Io e quanto l'Uomo, per aggirare la paura di scomparire definitivamente dalla scena, si autoinganni fino a credere che può evitare la sofferenza genuflettendosi davanti a una scultura di marmo, pregando una qualsiasi divinità o comprandosi un'auto nuova. Chiediamocelo: come possiamo definire intelligente un uomo privo di quello che alcuni chiamano buon senso e altri, per sottrazione, assenza di idiozia? E come può considerarsi evoluto un essere che non si fa la doccia ma lava l'auto, che si mette i guanti dal verduriere per non contaminare verdure Ogm e che fa le scale mobili per recarsi in palestra? A cosa serve contrarre mutui per arredare casa che tanto per allestire un loculo bastano due ceri e un vaso e che persino Cheope non è riuscito a godere di tutti confort che s'era messo nella sua piramide? È l'illusione che tutte le cose siano permanenti - inclusi la paura di morire, i cattivi odori e i sermoni stracciapalle - a renderle così impermanentemente ridicole? È una provocazione ipotizzare che il buddismo sia la rappresentazione umoristica di tutte le religioni?
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