Fammi vedere del male

Fammi vedere del male

Vincitore di due Palme d’oro, un Oscar e numerosi premi internazionali, tra gli esponenti del cinema contemporaneo Michael Haneke è uno dei più controversi. Attraverso dodici lungometraggi realizzati per il grande schermo in meno di trent’anni, il cineasta austriaco è riuscito a scrollarsi di dosso l’ingrata fama di provocatore, di un autore che mira soltanto a sconvolgere il pubblico, dimostrando la serietà ben più profonda del proprio lavoro. Lontana dalle carezze del cinema mainstream, nell’opera rigorosa e anaffettiva di Haneke i frammenti ellittici strutturano composizioni a trama fitta fondate su logiche sconnesse dal tessuto narrativo. Senza chiarire mai i legami tra le cause e gli effetti, anche negli snodi apparentemente più chiari il regista rifiuta la comodità di una storia convenzionale o di una motivazione psicologica esaustiva: l’immagine è sempre instabile, i suoi significati vengono irrimediabilmente inquinati e chi guarda finisce smarrito nel regno del dubbio. Dall’interno, Haneke lavora per smantellare i linguaggi del cinema, gli ingranaggi della verità e la logica della realtà, lasciando allo spettatore il dovere ultimo di trovare una cura alle patologie dell’uomo, dei media e della società occidentale.
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