Abito qui

Abito qui

Ogni essere vivente abita, è il suo modo di essere al mondo, necessariamente contestualizzato in un habitat e inevitabilmente come parte di un ecosistema. Architettura come un abito a grande scala, confezionato attorno all’esperienza di un essere vivente. L’architettura genera i luoghi delle nostre esperienze, ne è complice, ha un carattere intrinsecamente relazionale. La vita al centro. Mettere a soggetto il vivente, attorno al quale si dispone un riparo, capovolge senso dell’architettura e processo progettuale, rende implicito e naturale costruire in modo ecocompatibile e attiva nuove soluzioni. Su questo presupposto prendono forma i progetti in una conversazione continua tra ciò che è vivo, e cresce, e quanto viene costruito. Crescita e costruzione sono le due polarità fra le quali si pone il progetto. Aprile è scelto come metafora di un futuro possibile, la fioritura di primavera, prefigurata e vitale oltre l’inverno che regna nell’immaginario di questo tempo che mi pare troppo spesso descritto come un inverno senza fine. I disegni sono l’esito e la sintesi di una ricerca che mi accompagna fin dall’adolescenza e che si offre a un pubblico specializzato e generico per stimolare e provocare riflessioni, domande, conversazioni su temi esistenziali. Ho scelto qualche anno fa il linguaggio figurativo, poetico e ironico in alternativa al più diffuso atteggiamento minaccioso, normativo e catastrofico, senza rinunciare al contenuto, ma spingendolo oltre, grazie alla leggerezza della forma e della simbologia che consente di insinuarsi in territori insidiosi e presidiati da resistenze e da pregiudizi. Con un testo di Franco La Cecla.
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