La scienza infelice. Il museo di antropologia criminale di Cesare Lombroso

La scienza infelice. Il museo di antropologia criminale di Cesare Lombroso

Il Museo di psichiatria e criminologia (più tardi Museo di antropologia criminale) che Cesare Lombroso inaugura a Torino nel 1898 è insieme il coronamento e la suprema prova sperimentale di una "fremebonda" attività di scienziato e divulgatore: qui infatti gli argomenti devono lasciare il posto alla nuda ed eloquente esibizione dei 'fatti'. I crani dei banditi e i lavori manicomiali, la litografia del "cannibale prussiano" e i volti dei comunardi, la giubba di Gasparone e i vessilli di Davide Lazzaretti enunciano tutti in prima persona l'assioma della nuova scienza, l'esistenza nell'albero progressivo dell'evoluzione di rami collaterali deformi, di abnormi regressi all'infanzia selvaggia dell'umanità: il pazzo, il delinquente, la prostituta, il genio. Il Museo è quindi anche un catalogo degli "indizi certissimi" attraverso i quali l'appartenenza a una delle grandi categorie di devianti può essere determinata. Lo scienziato positivo non si contenta di illuminare le piaghe, di scoprire chi cammina a ritroso sulla via dell'incivilimento, ma vuole intervenire attivamente sul corpo sociale; Lombroso, grande medico di un'Italia malata, propone rimedi, si accinge volonteroso a "prevenire e curare". Nel suo museo, accanto ai segni inequivocabili della malattia ospita i nuovi farmaci, i modellini di carceri più umane, lo strumentario di una pedagogia sociale severa, ma scientificamente garantita. A oltre un secolo di distanza il collasso di un modello di scienza che oggi ci appare paradossale, ma che ebbe allora eco nel mondo e larga udienza presso la cultura europea, si traduce nella polvere sugli scaffali e sulle casse scomposte del Museo. Ma quegli stessi oggetti e le loro immagini - le brocche, la macchina per far soldi, i tatuaggi - che parevano allora incontrovertibili risposte sono divenuti oggi altrettante domande. Domande su chi li ha prodotti innanzitutto, nelle carceri o nei manicomi; domande anche su chi ha percepito queste realtà difficili attraverso [...]
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