Fisionomia di Kafka

Fisionomia di Kafka

Continuare a scrutare il proprio volto, pur essendo consapevole dell'inanità di tale esercizio, è impresa centrale nella vita come nell'opera di Kafka. In questa dolorosa aporia, per cui si diffida della veridicità dello specchio - che rimanda a un'imago giudicata indecifrabile già da Schopenhauer - e insieme ci si sa destinati a un'autosservazione distruttiva, sta racchiusa tutta la poetica kafkiana. "Di vero non c'è che la luce che illumina la smorfia sul volto che si ritrae" recita il suo enunciato più enigmatico. Se la fisiognomica, anche nelle riformulazioni di Weininger e Kassner che riecheggiano in Kafka, stenta a cogliere il canone di un volto, sarà una paradossale mnemonica a restituirne la fisionomia. La sua regola fondamentale prescrive il nietzschiano oblio di sé, forza attiva, vigorosa facoltà di inibizione senza la quale è impossibile conseguire quella "superiore specie di osservazione" che è la scrittura.
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