La verità del mondo. Giudizio e teoria del significato in Heidegger

La verità del mondo. Giudizio e teoria del significato in Heidegger

Sul finire dell'Ottocento e nei primi decenni del Novecento si sviluppò in Germania un intenso dibattito intorno ai rapporti tra pensiero ed esperienza che, a partire dalla teoria dei due mondi di Lotze, coinvolse la corrente psicologista, il neokantismo, Dilthey, Lask e la fenomenologia. Attraverso le analisi husserliane, Heidegger potè abbozzare un programma di superamento delle contraddizioni contenute in tale discussione, in particolare riflettendo sulle condizioni di possibilità dell'intenzionalità, che riconducevano a un contesto finito costituito dall'apertura di un mondo. Si sviluppa così una prospettiva teoretica che riconduce il giudizio e il significato al mondo, inteso come totalità governata da regole di coerenza. In questo modo, i pensieri cessano di essere fatti coscienziali, poiché vengono resi possibili da un certo contesto di esperienza, la quale, tuttavia, non si contrappone al linguaggio in generale, ma solo all'uso che del linguaggio viene fatto nel giudizio. Di conseguenza, l'esperienza da cui procede il pensiero è costituita dagli enunciati d'azione, che si radicano nella vita del mondo. Heidegger delinea dunque una prospettiva che da un lato considera i significati qualcosa di 'oggettivo', poiché essi non sono relativi ai soggetti, e dall'altro evita di ritenerli 'intemporali', dato che i mondi all'interno dei quali essi possono apparire si danno temporalmente. Dal punto di vista della questione della verità, si avanza così l'ipotesi che l'impostazione heideggeriana, pur mantenendosi distante e critica verso una concezione soggettivista della verità, indichi tuttavia una posizione fondamentalmente antirealista.
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