Le storie di Giufà

Le storie di Giufà

"Si dice: 'l'arte di Giufà', che è il non averne alcuna. Ma nel dialetto siciliano "arti" è sinonimo di mestiere manuale o, spregiativamente, di artificio, di inganno. Arte è quella del sarto, del falegname, del potatore, del contadino; di chiunque, insomma, sa lavorare, accorto e paziente, con le mani: arte vera, che produce, che serve; ma quella dell'avvocato, del medico, è arte in quanto è arte tutto quello che dà pane: ma imparagonabile a quella concreta che si fa con le mani (guidate dalla testa, si capisce), da diffidarne, anzi, da guardarsene al possibile e anche al di là del possibile... Tutt'altra è l'arte di Giufà: quella - suprema, assoluta - dell'ozio. Ed è appunto l'ozio che rende Giufà personaggio, che ce lo fa vedere nel contesto di una comunità, di un paese: lo stolto o il folle del paese (la stoltezza di Giufà è anche follia), di ogni paese siciliano. Strade, vicoli e cortili; palazzetti pretenziosi e stemmati, case terragne umide e oscure, gradinate di chiesa; palmizi, mandorleti, oliveti; campi di grano e prati di sulla; asini e capre; il mare qualche volta - si accampano dietro la sua figura, fanno di volta in volta sfondo al suo vagare, al suo estravagare.[...]"(Leonardo Sciascia)
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