Abbi pietà del mio piccolo dolore

Abbi pietà del mio piccolo dolore

Siamo nel gelido Nord dell’Inghilterra, è il 1413. Margery cammina vestita interamente di bianco, come una vergine, i piedi nudi sul fango delle strade del Norfolk. Si è lasciata alle spalle i quattordici figli e il marito per intraprendere un viaggio misterioso, una missione verso cui, dice, l’ha chiamata Dio stesso. I passi di Julian invece percorrono una distanza molto più piccola, il perimetro della cella di un monastero a Norwich nella quale da ventitré anni vive come anacoreta, reclusa assieme alle sue inconfessabili visioni. Le immagini che visitano Margery, e che muovono i suoi passi in un pellegrinaggio santo tra Roma, Santiago e Gerusalemme, l’hanno resa invisa agli uomini di Chiesa della sua comunità, i quali hanno iniziato a perseguirla in quanto eretica. Quelle che affollano i sogni a occhi aperti di Julian, invece, le chiudono la bocca, le fanno sentire nella carne la morte vicina e il sangue di Cristo: ogni giorno, per lei, è un giorno in meno rimasto per raccontarle. Infine, guidati da un’energia divina, i loro passi si incontrano. E, sole in quella stanza, le loro bocche si spalancano come mai fino ad allora. Dialogano di infanzia, di maternità, di malattia. Di perdita. Di dubbio. Di fede. Di rivelazioni, più potenti di quanto il mondo al di fuori del loro guscio sia pronto a sentire.
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