L'architettura di Borromini

L'architettura di Borromini

Gli studi recenti dedicati a Borromini hanno di fatto ignorato questo inquietante, difficile libro di Hans Sedlmayr, la cui prima stesura risale all'inizio del 1925. Nel volume, stampato cinque anni dopo, confluiscono due saggi ospitati nel frattempo dalla rivista "Belvedere" (1925 e 1926) e sltri scritti che affrontano temi poi sviluppati in "Kunstwissenschaftliche Forschungen" del 1931. Per l'occasione Sedlmayr riscrive l'"Introduzione" e aggiunge la rielaborazione di un saggio del 1937, "Funf romische Fassaden", qui tradotto secondo il titolo attribuitogli nel '39, "Borromoni. Un nuovo tentativo". Dimenticato per ragioni diverse, tra le quali, ormai 'sine ira et studio', i trascorsi nazisti del suo autore, il libro non costituisce solo un contributo irrinunciabile alla conoscenza di Borromini, ma è un documento non meno rilevante per intendere l'evoluzione e il senso della ricerca di Sedlmayr. Lo studio su Borromini, infatti, è uno dei più tormentati tentativi compiuti da Sedlmayr di avventurarsi sul terreno dell'analisi strutturale dell'opera d'arte e definire gli strumenti concettuali e tecnici di una storiografia artistica rifondata - o meglio, di una "seconda storiografia", come egli la definisce in opposizione alla "prima" praticata dagli "storici imprestati all'arte", alla quale significativamente accomuna Eberhard Hempel, l'autore che negli anni venti lo precede nel campo degli studi borromiani. Nei testi qui raccolti traspare lo sforzo che Sedlmayr compie, soprattutto negli anni trenta, di giungere ad una sintesi rifondativa delle diverse anime che avevano reso luminosa la tradizione formatasi per merito degli studi compiuti dal grandi storici dell'arte che avevano operato a Vienna. Proprio allorché i giovani esponenti della scuola viennese, come dimostra Marco Pogacnik nel saggio che accompagna questa traduzione, prendono atto della crisi di quella tradizione, Sedlmayr tenta una estrema composizione tra le sue anime più originali, illustrate dagli insegnamenti di Wickoff, Riegl, Dvorak, Schlosser. Nel frattempo, costretto a confrontarsi con i colleghi più giovani e influenzato da uno storico quale Otto Brunner, egli avverte come ai tempi sia impossibile rimanere estranei e inattuale sia sperare di trovar rifugio "in un museo", come dichiara ricordando la figura del suo maestro Julius von Schlosser. E che al mondo sia necessario aprirsi: per quanto terribile esso possa apparire, terrorizzante ciò che vi si produce, innominabile ciò che lo alimenta, pauroso quanto l'arte vi annuncia - come Sedlmayr dirà ne "La rivoluzione dell'arte moderna" e ne "La perdita del centro" - con esso è necessario confrontarsi, con le sue tecniche, con i nuovi saperi che vi si affermano, con il diverso senso del tempo che vi viene maturando. Ne sono prova, oltre al polemico impianto dei saggi su Borromini qui raccolti, i tentativi che in essi Sedlmayr compie di applicare all'architettura borromiana metodi interpretativi derivati dalla teoria della Gestalt, dalla fisiognomica, dalla psicoanalisi. Tutto ciò fa del libro un documento ricco di messaggi che non può venire ignorato né da coloro che intendono confrontarsi con gli sviluppi della storiografia artistica contemporanea, né da quanti sono interessati a studiare l'opera di uno dei massimi architetti dell'Occidente a partire da ipotesi che non si limitino, come Pogacnik ricorda, alla semplice discussione di datazioni, attribuzioni, cronologia delle opere, esame delle fonti e della "documentazione d'archivio".
Momentaneamente non ordinabile

Dettagli Libro

Libri che ti potrebbero interessare