Twelve

Twelve

Un altro grande regalo dagli editori americani per chi con loro dà fiducia ai giovani scrittori capaci di individuare e cantare i problemi e le fortune della loro generazione. Questo Nick McDonell è sicuramente un regalo prezioso, un po' come lo è stato a suo tempo Bret Easton Ellis, e non per niente lo ha scoperto e lo ha lanciato lo stesso personaggio della cultura americana, Morgan Entrekin; e con lui l'hanno incoraggiato gli esponenti più rappresentativi di una certa narrativa americana, Joan Didion con le sue storie sofisticate e Hunter S. Thompson con i suoi racconti trasgressivi. Così Nick McDonell ha visto approvare da loro un romanzo che ha scritto a diciassette anni, entrando nella storia dei cantori di adolescenti con le loro problematiche e i loro errori, le loro disperazioni e la loro paura di sognare l'irrealizzabile: e il suo nome è ora avvicinato ad altri cantori classici, come Jerome David Salinger con il suo "Giovane Holden" del 1951, come Jim Carroll con i suoi "Diari di pallacanestro" del 1978, e soprattutto come Bret Easton Ellis con il suo "Meno di zero" del 1985. Sono cambiati i costumi ma non sono cambiate le angosce dei giovani e Nick McDonell le ha narrate con orecchio acutissimo per il suo e il loro linguaggio, con occhio lucido e penetrante dei loro errori, con sensibilità patetica per il mondo spiritualmente desolato che circonda a volte i figli privilegiati del benessere: l'ambiente del libro è Manhattan, la parlata è spesso uno slang negro, le azioni sono di ragazzi viziati che giocano a volte con armi omicide. Il dramma raccontato da Nick McDonell con scaltrezza da vecchio professionista è quello del protagonista Mike Bianco (per dire che non è negro), che tra il liceo e l'università senza essere drogato diventa spacciatore di droga, una droga immaginaria che dà titolo al libro. Frequenta molti compagni che la droga la consumano, disprezzano la scuola, hanno genitori distratti e si ritrovano in guai involontari con la giustizia. Nick McDonell racconta le loro storie come in un romanzo a chiave della sua scuola, spesso al limite della satira (in un'intervista ha detto che "i suoi personaggi sono stereotipi e caricature di se stessi") ma sempre con viscerale autenticità e freddezza da abilissimo scrittore. (Fernanda Pivano)
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