La sapienza dei Navaho. Figlio di Vecchio Cappello

La sapienza dei Navaho. Figlio di Vecchio Cappello

I Navaho o Navajo, una tribù emigrata dal Canada verso il sudovest degli Stati Uniti fra il 900 e il 1200 d.C., chiamavano se stessi "Il Popolo" - e furono sempre fieri della loro irriducibile opposizione all'insediamento dei Bianchi. Costretti alla resa nel 1863 dal colonnello Christopher Carson (Kit Carson), che ne distrusse quasi completamente le immense greggi, vennero confinati in una piccola riserva vicino a Fort Sumner, nel Nuovo Messico, fino al trattato del 1868, quando poterono tornare alle loro terre. Vivono attualmente in una grande riserva al punto di confine fra l'Arizona, il Nuovo Messico, l'Utah e il Colorado. Nel 1934 l'antropologo Walter Dyk soggiornò in questa riserva e raccolse dalla viva voce di Mancino, figlio di Vecchio Cappello, il racconto della sua vita. Mancino era nato nel 1868, appunto al termine della prigionia dei Navaho nella riserva di Fort Sumner. Egli rievoca la propria vita dalla nascita - "quando le foglie dei pioppi erano grandi come l'unghia del mio pollice" - alla finciullezza ricca delle prime esperienze fra il gregge paterno - "quando uscivo con le pecore come un cane" -, alle scoperte, dapprima conturbanti e poi disinvoltamente e liberamente vissute, della pubertà e dell'adolescenza fino a quando, ventenne, contrasse "pragmaticamente" il matrimonio con una donna, a dispetto dell'imminente cerimonia nuziale che avrebbe dovuto legarlo a un'altra. A differenza di altre testimonianze, questa non è, come scrive Edward Sapir nell'introduzione, una drammatizzazione di modelli culturali, che si prefigga di fare rivivere il fascino di costumi esotici di popoli di altri tempi e di altri luoghi attraverso la descrizione di riti e di cerimonie per bocca di "tecnici", come stregoni o sacerdoti. Non è una testimonianza "sacrale, dall'alto", bensì la narrazione fresca, addirittura disarmante nella sua spontaneità, nella sua nuda e talvolta cruda chiarezza di esperienze quotidiane, e che tuttavia svela come il protagonista sia completamente impregnato della sua cultura e dei principi che la sorreggono. Man mano che egli cresce fisicamente e mentalmente, gli viene comunicata dal padre e dagli anziani parenti, a commento e spiegazione dei fatti e delle circostanze anche più banali, la sapienza accumulata nei secoli dalla sua razza: la necessità dell'onestà, della previdenza e dell'autodisciplina. La narrazione scorre spesso su ritmo biblico, e bibliche, sotto molti aspetti, sono la pedagogia e la vita "selvaggia" che la pervade.
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