Intransigenze

Intransigenze

Nabokov aborriva le interviste. Eppure, soprattutto quando diventò una celebrità, dovette subirne alcune. Ma il lavoro di quei malcapitati giornalisti si trasformava in puro pretesto per una strepitosa reinvenzione con cui egli si proponeva innanzitutto di cancellare "ogni traccia di spontaneità, ogni parvenza di effettiva conversazione". Il risultato fu una sorta di concrezione madreporica, dove con gli anni finirono per depositarsi, nella loro forma più scintillante e micidiale, non tanto le idee quanto le 'intransigenze' di Nabokov, come dire le reazioni della sua fisiologia di scrittore ai grandi temi (e spesso alle grandi scemenze, come l'"impegno") che vagavano per l'aria.Nabokov scopre le sue batterie fin dalla prima riga della Prefazione: "Penso come un genio, scrivo come un autore eminente e parlo come un bambino". Ma è solo un sommesso preannuncio rispetto alle bordate che la sua artiglieria spara in tutto il libro e in tutte le direzioni: dalla letteratura all'arte, dalla politica alla sociologia e alla psicoanalisi. E' più facile contare i pochi che si salvano, perché innumerevoli sono, per questo cacciatore di farfalle e di "false fame", i bersagli da colpire senza misericordia. Si salvano, per esempio, ma non sempre restano incolumi, James Joyce e Kafka, Pushkin, Tolstoj e Balthus, o i grandi comici come Buster Keaton, Charlie Chaplin, i fratelli Marx, Stan Laurel e Oliver Hardy; mentre sono investiti da scariche di sarcasmo Dostoevskij e Balzac, D.H. Lawrence e Sartre, il Thomas Mann di "Morte a Venezia" e il Pasternak del "Dottor Zhivago" (al quale fanno compagnia altri tre dottori: Freud, Schweitzer e Fidel Castro).Visto a distanza, molto di ciò che Nabokov diceva come provocazione e insolenza (per esempio in politica) ci appare oggi chiaroveggente e preciso.
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