Succubi e supplizi

Succubi e supplizi

Con "Succubi e supplizi" ci troviamo di fronte all'ultimo Artaud: incandescente, folgorante. Concepito nei primi mesi del 1946 nel manicomio di Rodez - stazione finale di una lunga tortura iniziata nove anni prima e segnata da sofferenze e mortificazioni indicibili, fra cui più di cinquanta elettroshock -, il testo verrà dettato a una segretaria, che l'editore Louis Broder aveva messo a disposizione di Artaud, tra la fine di novembre dello stesso anno (quando, grazie all'intervento dei pochi amici fidati, sarà riuscito a stabilirsi a Ivry) e i primi di febbraio del 1947. Ma Broder, adducendo motivi di ordine religioso, si rifiuterà di pubblicarlo, sicché la prima edizione si avrà solo nel 1978, con il XIV volume delle "Oeuvres complètes". Per il modo in cui è nato (lo testimonia l'ampio Dossier, che ci offre la rara possibilità di seguire le varie fasi che ne hanno scandito la genesi: stesure autografe, dettatura, rilettura, lettere, appunti, precisazioni) e per la sua stessa natura, "Succubi e supplizi" sfugge a qualsiasi classificazione. Potremmo definirlo una sorta di stenografia bruciante, dove la psiche e il corpo (e mai il corpo è stato così ossessivamente presente in una scrittura) si scontrano, si insidiano, si sopraffanno. Sono questi i testi fondatori di quella 'scrittura orale' di cui Artaud ha il segreto: la parola agisce direttamente sui sensi del lettore - o dello spettatore, e sembra quasi comporre lo spettacolo esemplare di quel Teatro della Crudeltà che Artaud ha sempre sognato di mettere in scena, in quanto trascrizione di una lotta irriducibile fra colui che scrive e il mondo, percepito come una immane fattura di magia nera.

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