Fascinazione criminale. Autoetnografia di un ex camorrista

Fascinazione criminale. Autoetnografia di un ex camorrista

La marginalità come condizione e non come alibi, la delinquenza come fascinazione e non come trappola, la scrittura come autoterapia e non come esercizio letterario: sono queste le tre strutture intorno alle quali Catello Romano ricostruisce, con il piglio del narratore e la precisione del chirurgo, la propria adesione alla malavita organizzata. Romano attraversa gli anni della propria infanzia e dell’adolescenza selezionando le vicende che hanno fatto contemporaneamente da sfondo e da detonatore alle scelte che lo hanno condotto all’adesione alla camorra e poi, appena diciottenne, a una rocambolesca latitanza e infine all’arresto. È sulla soglia del carcere che il racconto si sospende, dopo aver rivelato fatti e narrato persone che dalle pagine della cronaca nera del Napoletano entrano così a far parte della trama fitta e drammatica della storia personale dell’autore. Il testo non è un’autobiografia né un’apologia: adoperando l’autoetnografia – un metodo di scrittura codificato dalla Sociologia – Romano evoca traumi ed epifanie, incontri ed errori, delitti ancora inconfessati e rivolgimenti interiori. Una scrittura frutto di una palingenesi solitaria, irta di asperità e di possibili equivoci, generata dalla determinazione di un uomo che, dal silenzio della reclusione, invoca un riscatto culturale, morale, spirituale, sfidando chi legge a mantenere uno sguardo laico sul male che lo ha attraversato.
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