Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell'occidente contemporaneo

Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell'occidente contemporaneo

Osservando, e vivendo, lo spazio occidentale - le idee che lo riguardano, gli oggetti che lo popolano, le linee di forza che lo attraversano - ci si può render conto, non senza straniamento, di quanto esso sfugga alla nostra vista. Non poi così paradossale, in realtà, che in un'epoca di iper-immagini, i nostri occhi finiscano per essere abbacinati. Da quando la rete si è smaterializzata viviamo in un campo magnetico ultradenso; il comune senso del mondo si costruisce su avvicinamenti vertiginosi: icone, frames discorsivi, interfaccia materiali e virtuali sono continuamente appresso a noi. Per questo, il soggetto, impegnato a districarsi in una selva di eventi spaziali, percepisce irrazionalmente le correnti carsiche che fluiscono al di sotto del mainstream, magari ubriacato dalle lingue tecno-scientifiche che dicono di parlare il reale. Da ciò deriva l'impaccio con cui reagiamo a "iperoggetti" - come li chiama Timothy Morton - vicinissimi e diffusi, a-posizionali e insofferenti alla perimetrazione, come i terrorismi, il cambiamento climatico, le pandemie.
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