Diario indiano (1962-1963)

Diario indiano (1962-1963)

Concepite come annotazioni private, appunti sparsi in cui anche l'ordine cronologico viene a volte a mancare, le pagine del "Diario indiano" non vogliono essere la fedele registrazione di una vicenda autobiografica legata a un viaggio. Il viaggio naturalmente c'è, ed è quello compiuto da Allen Ginsberg nella penisola indiana tra il marzo del 1962 e il maggio del 1963, in compagnia dell'amico Peter Orlovsky e di Gary Snyder, anche loro poeti della Beat Generation; e ben avvertibile è anche la dimensione "on the road" del libro; ma molto più intenso è il lato introspettivo del viaggio, scandito dai tentativi di una presa di coscienza diretta e partecipata della vita indiana; l'autore cerca di immergersi nell'India, piuttosto che di conoscere l'India, che così diviene soprattutto il luogo ideale per un'esperienza spirituale. Assai lontano quindi dal poter essere letto come una cronaca o un reportage, il "Diario" deve la sua suggestione al fascino visionario che emanano le sue pagine, in cui le poesie "urlate" si alternano agli stati di allucinazione, le descrizioni cittadine alle trascrizioni dei sogni, le risposte laconiche dei guru agli smarrimenti dell'uomo messo di fronte all'insondabilità dello spirito e della morte. Ma, ancora di più, il libro trova misura, coesione e intensità entro i modi e i tempi della sua prosa uniforme e cadenzata, quasi scandita dal ritmo mentale di versi lunghissimi e ipnotici, fino a confondere se stessa e le poesie con cui si avvicenda in una sola lentissima musica.
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