Triste non è la parola giusta

Triste non è la parola giusta

Un diario, centinaia di fotografie e sessantotto lettere sono tutto ciò che G. possiede della madre Miriam, oltre ai ricordi di un passato condiviso. Nella scatola di cartone che li contiene sono racchiuse anche le aspettative e le ansie di un figlio che sta tentando di comprendere la propria identità e di recuperare un contatto che si fa sempre più labile. Partendo alla ricerca di questa donna – chi era Miriam prima della maternità?, prima di essere la madre che è nata insieme a lui? – G. sfoglia bugiardini di medicinali, referti medici, carte astrali, scrive lettere, email, si interroga. E conclude: «Ti scrivo e ti mando questa lettera per provare a ritrovare, nella mia voce, la tua». In questo esordio audace e commovente, in cui tutti potremmo riconoscere parte del nostro percorso, Gabriel Abreu dà vita con penna sicura a un puzzle emotivo fatto di documenti, affetti e ricordi: un ritratto delicato ma intenso dell’eredità, della memoria e dell’amore nel rapporto fra madre e figlio.
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