Il principe stanco

Il principe stanco

E' una mattina del 1943, e in una casa solitaria lungo un argine, nella bassa padana - una casa misteriosa che diverrà poi rifugio di amanti clandestini, randagi, braccati e irregolari d'ogni specie - Luchino Visconti si appresta a dare le ultime istruzioni alla troupe per girare una delle scene più sensuali e importanti di "Ossessione". Pendono tutti dalle sue labbra, in religioso silenzio, quando la protagonista del film, diva venerata dal pubblico, rapita dal fascino del regista si alza di scatto e gli dà un bacio. Per tutta risposta, Visconti la schiaffeggia platealmente. Quest'immagine stravagante di uno dei maestri del cinema che, alla maniera di un saggio zen, mostra il suo 'alto, sacrale concetto del lavoro' che non tollera interruzioni, costituisce uno dei tanti piccoli, mirabili quadri attraverso i quali Gian Antonio Cibotto ritrae in queste pagine l'intera vita culturale della seconda metà del Novecento. Con la sua scrittura limpida, Cibotto si accosta ai grandi della letteratura italiana e della cultura europea con un tocco leggero, commosso, rispettoso dell'intimità dei suoi personaggi. Ecco allora Sandro Penna che vede un giovane per strada e non si trattiene dal declamare, con la sua voce un po' chioccia, "amore amore, lieto disonore". Ecco Denti di Pirajno, che riceve l'autore a letto, in camicia, magro, pallido, e si illumina quando ha in regalo una copia del "Fedone". Ecco Ennio Flaiano, che su una spiaggia di Fregene svela la vera natura del suo sarcasmo. O Balthus, che si abbandona elegantemente su una poltrona per dire che a condurre la sua mano sulla tela "è una forza misteriosa, segreta". O il vecchio Saba che, avvolto in un pastrano malandato, con la sua voce sommessa e infantile dice che la sola cosa che riesce a fare ormai è "contemplare il cielo". Libro che incanta per la levità della sua scrittura, "Il principe stanco" ci riporta a un'epoca in cui gli scrittori non frequentavano i salotti televisivi, ma bettole e caffè e case fatte a volte, come l'appartamento di Trilussa a due passi da piazza del Popolo, di "un solo stanzone pieno delle cose più folli".
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