Il console Stendhal e la «petite ville» di Civitavecchia

Il console Stendhal e la «petite ville» di Civitavecchia

Noia, tanta noia, e una gran voglia di fuggire, lontano dal silenzio assordante del deserto culturale, dagli obblighi di rappresentanza del consolato, dalla burocrazia logorante del bureau, seppur a rigor del vero è provato che fu un ottimo funzionario. Eppure Henri Beyle, in qualche modo, si trova a legare la sua età matura, fino alle soglie della morte, con Civitavecchia che non è solo un angusto luogo di confino. Anche qui, come anni prima a Venezia, ama osservare il mare, ha un bel gruppo di amici che lo portano in palma di mano. Qui trova una tranquillità, spesso ai confini con l'ennui, che gli dà il tempo di abbozzare, scrivere, rivedere i suoi lavori, leggere. E poi c'è la gente di tutti i giorni, il porto con il ritmo forsennato dei battelli a vapore, i facchini urlanti, l'allegria delle fiere donne del popolo. Civitavecchia, la "petite ville", è anche questo lato oscuro, perché le figurine che popolano il villaggio fanno parte di un mondo minore, che il console sente e vive nella quotidianità.
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