Il Dio in armi. La Gran Bretagna e la nascita dello Stato di Israele

Il Dio in armi. La Gran Bretagna e la nascita dello Stato di Israele

Il 2 novembre 2007 cade il novantesimo anniversario della lettera che Arthur Balfour, ministro degli Esteri britannico, inviò a Lord Rothschild. Con la "dichiarazione di Balfour", come venne chiamata da allora, il governo del Regno Unito prometteva che si sarebbe adoperato perché agli ebrei, dopo la fine della guerra contro l'Impero Ottomano, fosse garantita in Palestina una 'home', espressione che fu tradotta in francese con la parola foyer e in italiano con la parola focolare o culla. Non era ancora la patria sognata da Theodor Herzl e dal movimento sionista alla fine dell'Ottocento, ma era pur sempre una 'casa'. È questa la ragione per cui la "Balfour declaration" viene universalmente considerata una delle "pietre d'angolo" dell'edificio che venne annunciato al mondo da una sala del museo di Tel Aviv il venerdì 14 maggio 1948, l'anno 5708 del calendario ebraico. Ma perché il governo britannico decise di compiere nel 1917 un atto che avrebbe avuto straordinarie conseguenze sul futuro della regione e costretto gli inglesi, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ad abbandonare la Palestina? Nelle sue Memorie di guerra il Primo ministro liberale del Regno Unito all'epoca della dichiarazione, David Lloyd George, fornì due motivi. Il primo era una sorta di ricompensa per Chaim Weizmann, l'ebreo di origine russa che si era instancabilmente battuto negli anni precedenti per conquistare la simpatia degli inglesi alla causa sionista. Professore di biochimica all'Università di Manchester, Weizmann aveva meritato la gratitudine delle autorità britanniche mettendo a punto la sintesi dell'acetone, un procedimento che aveva considerevolmente accelerato la produzione di esplosivi durante la guerra. Il secondo motivo era la necessità di assicurarsi l'appoggio ebraico nei paesi neutrali, soprattutto in America. Ma la spiegazione non convince interamente l'autrice di questo libro. Nei suoi precedenti studi sulla politica britannica in Medio Oriente Jill Hamilton aveva constatato che la simpatia di una parte del governo britannico per la causa sionista aveva un'altra motivazione, meno politica, ma non meno decisiva. Lloyd George era gallese, cittadino di una piccola patria che non voleva perdere la propria identità. Ed era, come altri ministri liberali del suo governo, un cristiano nonconformista, membro di una delle denominazioni religiose protestanti che si erano lungamente battute per sopravvivere contro la tirannia della Chiesa anglicana. Cresciuto, come altri suoi colleghi, nello spirito dell'Antico Testamento, Lloyd George era quindi un "sionista cristiano", profondamente convinto che il ritorno degli ebrei nella Terra Promessa fosse iscritto nelle Sacre Scritture e fosse un avvenimento decisivo per la seconda venuta del Messia. I liberali nonconformisti uscirono dalla scena politica britannica negli anni successivi. Ma la nascita dello Stato d'Israele nel 1948 fu straordinariamente favorita, secondo la Hamilton, dalla presenza alla Casa Bianca di un presidente che aveva per molti aspetti la stessa formazione storico-religiosa. Dopo la dichiarazione di Ben Gurion da una sala del museo di Tel Aviv, Harry Truman riconobbe immediatamente il "governo provvisorio come l'autorità de facto del nuovo Stato". Quando gli fece visita qualche giorno dopo, Chaim Weizmann, da poco eletto alla presidenza di Israele, gli portò in dono un rotolo della Torah. Il lettore troverà in questo libro alcune analogie con le simpatie degli evangelici americani per Israele in un momento in cui il presidente degli Stati Uniti è un "cristiano rinato". E comprenderà quanto siano parziali e insufficienti le tesi di coloro che vedono nelle vicende mediorientali soltanto il petrolio e la geopolitica. Dio, o piuttosto l'idea che gli uomini si fanno di lui, continua a ispirare il corso della storia.
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