Lo sguardo inquieto. Marco Bellocchio tra immaginario e realtà

Lo sguardo inquieto. Marco Bellocchio tra immaginario e realtà

Negli ultimi quattro lungometraggi di Bellocchio ci si trova catapultati nell'interstizio tra immaginario e realtà. Affiora sull'obiettivo della mdp un'inquietudine del regista ancora alla ricerca di immagini, parole, significati e non-significati. Un cinema che sembra camminare sull'incrinatura tra reale e immaginario, oggettivo e soggettivo, attuale e virtuale. Nelle immagini cinematografiche la definizione stessa di realtà è messa incrisi e oltrepassata. Con "L'ora di religione" (2002) sorge l'immaginario come condizione di libertà in cui si trova la coscienza: costretta a essere libera nel mondo, in cui non è totalmente invischiata. Con "Buongiorno, notte" (2003) il regista esplora la Possibilità: del cinema, delle immagini, dell'esistenza. Oltre la Storia, oltre l'Oggettivo resta quello spazio di fragile perfezione, quello sguardo laterale e parziale (uno spioncino su Moro prigioniero) che sposta il punto di vista. Con "Il regista di matrimoni" (2006) l'immagine, mettendo in discussione il suo stesso statuto, fugge a se stessa. Una fuga senza meta. Restano buchi e spazi inabitabili in cui l'esistenza si dibatte alla ricerca di sé. Bordi che creano fratture. "Vincere" (2009) il soggettivo (il possibile) sbriciola l'oggettivo (la necessità). La realtà acquista altri significati. Lo spettatore si dibatte nella frattura.
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