Aringa in paradiso (Un')

Aringa in paradiso (Un')

Le barzellette ebraiche, e meglio sarebbe dire storielle, parabole comiche o apologhi contengono sempre un di più, un'ulteriore possibile comprensione che le rende affascinanti anche a chi detesti il genere: non hanno niente insomma della comicità immediata e diretta dell'avanspettacolo condotto da un abile dicitore, né delle raccolte di editoria improvvisata legata a una categoria, a una situazione. E questo di più potrebbe essere anche motivo in qualche modo di presupponenza e di svisamento, se nascesse dal contesto di un patrimonio privato e analienabile, come la certezza di appartenere a una minoranza intellettuale elitaria e di comunicazione carbonara, come sembra indicare quel detto di lontana origine che asserisce che la barzelletta ebraica è quella cosa che gli ebrei conoscono già e gli altri non capiscono. Per fortuna, da Sigmund Freud a Woody Allen, da Groucho Marx a Moni Ovadia, la massima ha un'immediata smentita, anche se probabilmente contiene un suo germe di verità che nasce da una differenza. Che è sopratutto una provenienza: queste non sono barzellette sugli ebrei ma degli ebrei. Quindi non specchio deformante, irrisioni più o meno benevola, sguardo altrui sul diverso e alieno di cui si colga subito il lato debole, ma la risata anche crudele e impietosa che spesso le persone intelligenti hanno nei confronti di se stesse; nelle fattispecie una comicità che nasce da un sostrato comune, un patrimonio che la storia e le tradizioni hanno arricchito di personaggi, atmosfere e situazioni nate spesso dal disagio e dal dolore ma anche dalla spensieratezza o dal ritegno consapevolissimo di un legame, non razziale ma etico ed etnico e ancestrale; anche trascurando quello religioso.Elena Loewenthal ha qui abbandonato (anche se solo apparentemente) la sua cultura giuridica, si è divertita a rovistare l'immensa materia dell'umorismo ebraico, eliminando quei settori "ortodossi" di difficile comprensione, privilegiando invece quel mondo che le vicende e [...]
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