E fu mattina

E fu mattina

Per qualche tempo l'uomo che ci parla di sé in questo romanzo è riuscito a ingannare il proprio destino. Arabo israeliano, si è integrato nella comunità degli ebrei, è andato a vivere in una grande città, ha fatto carriera nel giornalismo allontanandosi dalla sua famiglia e dal provincialismo del paese dove è nato. Quando il successo è a portata di mano, però, il destino lo prende in trappola, e una nuova fiammata di ostilità fra palestinesi ed ebrei lo inchioda al ruolo di intruso osteggiato. L'unica soluzione è il ritorno nel paese delle origini con la speranza che, tra la gente che conosce da sempre, almeno possa sentirsi al sicuro. Ma tornare indietro è impossibile. Il paese della memoria non c'è più e i volti familiari che lo popolavano sono irriconoscibili, sfigurati da un cinismo meschino, da una comica ossessione per il denaro e da un ottuso conformismo. Di fronte a tutto questo il protagonista non può che nascondersi di nuovo dietro una maschera, e questa volta la finzione gli serve per farsi accettare da amici e parenti, perché guai se sapessero che è un disoccupato, che è senza un soldo, che è un fallito su tutta la linea e che si sente tremendamente estraneo tra i suoi. Un giorno, mentre cerca di recarsi nella grande città per tenere in piedi la commedia del suo lavoro inesistente, scopre che è impossibile uscire dal paese. I soldati bloccano tutte le strade e nessuno sa perché. Nel corso di questo assedio interminabile e incomprensibile la tensione, le sofferenze e le paure mettono a nudo le debolezze di una comunità tutt'altro che solidale e la fragilità del protagonista, che, insieme all'indignazione per un Paese capace di tormentare i propri cittadini, sente crescere anche l'avversione per la sua stessa gente. Un drammatico crescendo, sempre più claustrofobico, farà precipitare l'irrimediabile senso di solitudine e di esilio cui nessuna svolta politica può porre rimedio.
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