Adultità. 18.Tempo per sé

Adultità. 18.Tempo per sé

Il tempo resta il mistero di ciò che siamo e che non siamo. Di quanto ci oltrepassa e supera. E quel che siamo stati e non sapremo mai di essere. E' quel che saremmo potuti diventare e non siamo divenuti. Esso si declina nel tempo individuale includendo il possibile e se lo porta appresso come una condanna, un pericolo scampato. Come un debito non pagato o saldato fino allo stremo. Troppo poco è pronunciare questa morbida parola declinandola al passato o al presente o, tanto meno, al futuro. Secondo le scansioni cui le mappe mentali e culturali consuete ci hanno assuefatto. Noi siamo tempi, nel Tempo: in tal modo, partecipiamo alle fortune-sfortune della specie, alle ereditarietà che si riversano nelle nostre biografie non solo genetiche. In flussi che ci attraversano e sovrastano, cancellano e rigenerano. In altre forme che non potremmo più riconoscere anche se ne avessimo la facoltà. Senza tempo non si vive e non si muore, questo solo sappiamo, questo solo non vogliamo. E così ci inventiamo le ripartizioni e le suddivisioni del tempo di vita in obbedienza a quanto la biologia, più ancora che la storia, ci impone. Il tempo è corpo spiato, ammirato, respinto. La nozione non può perciò che 'impaurire', se l'assumiamo allontanandoci dalle cose mondane. Ne consegue che la relazione io e il Tempo, io e il mio tempo, diventa sopportabile se riferita a qualcun altro, per farsi compagnia. Non a caso in questi articoli l'alterità è dominante. Chi pensasse di imbattersi in scritture dedicate al tempo 'radicalmente personale' (il tempo interiore) in quanto tempo per sé resterà stupito nel notare che la relazione è la grande dominatrice del tempo per sé. Il volume contiene l'inserto "Avventure corporee".
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