Cantare il tempo e l'essere

Cantare il tempo e l'essere

Evocare la voce, mentre siamo smarriti nella babele dei segni e nel proliferare dei linguaggi sempre più svuotati di senso e interrogarsi sulle ragioni e sull'urgenza del suo riapparire, del suo farsi visibile in un'epoca di tramonto della società e della civiltà letteraria quale è stata la nostra, e in parte lo è ancora, non rimette solo in causa la sua differenza con la scrittura, il suo passare dall'apparire e svanire nel tempo al permanere nello spazio e al diventare memoria, ma ci riporta e ci induce a risalire al suono, alla dimensione sonora e musicale dell'essere delle cose e di noi e al valore che la musica ha nella storia e nelle diverse culture e epoche, al fatto che dovunque la lingua viene meno incontriamo le sonorità e la musicalità di noi stessi, delle cose del mondo. La musica è «un ripresentarsi del prima della lingua dopo la lingua, dell'origine dopo l'odissea». È evocare la memoria della natura che affiora nei ritmi e nei canti. Per questo la corrispondenza tra poesia e musica rinvia dall'uno all'altra la domanda sull'origine e il sogno della redenzione. L'origine risuona nella natura come voce senza lingua, vento senza destinazione, lamento senza pianto. Nella voce affiorano le passioni, i sentimenti. Essa è l'articolazione dell'interiorità, è il farsi corpo e materia sonora dell'anima.
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