Ventottesima moglie (La)

"La ventottesima moglie" costituisce un caso eccezionale nel panorama delle letterature d'Africa, e non solo. Parlando in prima persona, e ampiamente rifacendosi alla propria esperienza esistenziale, Ken Bugul ripercorre il suo incontro con l'anziano Serigne avvenuto al ritorno nel villaggio natio, seguito da curiosità, attrazione, e conclusosi con un ingresso nell'harem dove finisce per diventare la ventottesima moglie, appunto, del marabutto. Il gioco del narrare è piano e apparentemente semplice, ma intrigante, perché non esita dinanzi a nulla, e si spinge sino a percorrere i momenti della seduzione e dell'intimità, le modalità dei ripetuti incontri, oltre ai rapporti con la straordinaria società di quell'unità domestica regolata da rigide leggi gerarchiche. Ritornando nel villaggio africano, la protagonista registra uno spostamento del punto di vista che non è soltanto geografico e visivo, ma soprattutto concettuale, e conduce a una radicale ricerca identitaria che approderà a un nuovo ordine, un appagamento senza precedenti nella sua difficile vita di figlia della postcolonialità. L'occhio dell'osservatrice guarda una per una le molte donne che popolano la casa, soffermandosi in modo particolare sulla giovanissima Rama, che nell'unione con il Serigne non trova né felicità né soddisfazione e che rifiuterà quell'ordine imposto dall'esterno. Lo scenario scarno ed essenziale della vicenda, le stanze nude dove si muovono i personaggi, il sentiero di sabbia che la protagonista percorre per recarsi dal suo nuovo, strano amore, le ombre dei servitori e delle giovani fantesche filtrano di silenzio l'accesa sensualità del racconto, intensificandone ed esasperandone la passionalità. E' un romanzo che apre uno spiraglio su un mondo sconosciuto a noi europei, quello della poligamia ancora largamente praticata sopratutto nell'Africa islamica, e molto discussa anche all'interno del dibattito femminista cui appartiene di buon diritto Ken Bugul.