Psicologia per l'autodifesa femminile

Psicologia per l'autodifesa femminile

Nel 1871 da Susan B. Anthony scrisse che "La donna non deve fare affidamento sulla protezione dell'uomo ma deve imparare a difendersi da sola". Il concetto di "autodifesa femminile" fa riferimento a programmi di sensibilizzazione e di addestramento che prescindono da consulenze od accreditamenti maschili. Il prefisso "auto" non si riferisce alla singola donna ma alle donne nel loro insieme. E' una difesa di genere, non individuale.I gruppi di studio del movimento delle donne che negli Stati Uniti, negli anni '70, affrontarono il problema dell'"autodifesa femminile", concordarono e svilupparono un metodo che se da un lato attingeva al patrimonio tecnico tradizionale della arti marziali, dall'altro introduceva elementi innovativi quali l'esposizione di tematiche come la differenza di genere, l'antropologia, la psicologia e la biologia della aggressività, la psicologia della comunicazione verbale, della mimica, degli atteggiamenti e della gestualità, alternando l'esposizione dei contenuti teorici e la discussione di gruppo, anche con l'eventuale apporto di testimonianze personali.L'"autodifesa femminile" ha come punto di partenza la consapevolezza della asimmetria che vede l'aggressore più forte della vittima e comunque incline alla violenza. E' l'aggressore che ha scelto la vittima, ha valutato l'attacco come conveniente per lui, ha scelto il luogo ed il tempo a lui più favorevoli.Essenziale è l'acquisizione, da parte della vittima prescelta, della consapevolezza di quei confini, non solo fisici ma soprattutto psicologici, valicati i quali un intruso può cominciare a nutrire delle aspettative che non sono condivise. Ella deve abituarsi a riconoscere, dentro di sé e nello spazio che immediatamente la circonda, quali sono quei limiti che non è disposta a lasciar superare. Con l'espressione verbale esplicita ed inequivocabile, sostenuta da atteggiamento, mimica e gestualità coerenti, deve imparare a testimoniarne convincentemente l'esistenza, ad indicarne l'ubicazione e dichiararli invalicabili.Tutto ciò è conseguenza della consapevolezza circa il proprio valore, dell'acquisizione della determinazione a non lasciarsi intimidire, della capacità di scoraggiare l'aggressore prima che si sia compromesso e di quella destrezza fisica che consenta alla vittima di una aggressione di sottrarsi ad essa subendo il minor danno possibile.La donne sono il sesso più debole ma non il sesso debole in assoluto. Sono più piccole e più deboli degli uomini, meno avvezze ad esprimere la loro aggressività ma non sono né deboli in assoluto ne prive di aggressività. Se scelgono di difendersi, sono in grado di farlo. Se per gli uomini la difesa personale è lo strumento con cui sopraffare un aggressore e metterlo in condizioni di non nuocere ulteriormente, l'autodifesa femminile è lo strumento mediante il quale le donne aggredite possono guadagnare quella manciata di secondi che consentono loro di mettersi in salvo. Le donne sono meno forti e più vulnerabili degli uomini ma dispongono di risorse aggressive sufficienti a scoraggiare e demotivare un potenziale aggressore. Gesti tecnici competenti ed opportuni di protezione e difesa sono messaggi con cui la vittima comunica ad un maldestro aggressore che si è compromesso inutilmente, che non otterrà impunemente quello che pretendeva di estorcere, che sta lasciando dietro di se ematomi ed escoriazioni che sono la più plateale delle prove a suo carico, che sta perdendo tempo inutilmente e che gli conviene desistere dall'attacco e dileguarsi anticipatamente.Questo testo è uno strumento che consente alle donne che hanno frequentato i corsi di autodifesa femminile di ritornare sui concetti acquisiti, di ampliarli ed approfondirli. E' soprattutto alle istruttrici, tuttavia, che questo libro si rivolge con l'intento di costituire una traccia minima su cui costruire l'ulteriore contributo personale che ciascuna di esse può dare all'autodifesa femminile.
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