Belinda Victoria

Belinda Victoria

"Nell'ambito del dilagare di tante saghe costruite intorno ad universi di pura fantasia, ci si sentirebbe tentati di ascrivere anche il romanzo della Bigottà al genere 'fantasy'. Eppure, leggendo le sue pagine, ci si accorge che, fra dialoghi spiritosi e bizzarri accadimenti, l'autrice non perde di vista il rigore proprio di chi non vuole solo 'raccontare, bensì di chi vuole fare letteratura'. Animali parlanti, talismani e fate evanescenti ci ricordano che quell'universo ci è familiare e che va a risvegliare una memoria culturale collettiva ed atavica, dove la componente fantastica si sovrappone al realismo di un'ambientazione comunale-borghese. In questo è la dimensione 'letteraria' del libro, che prosegue idealmente quella tradizione tipicamente italiana (nata coi novellieri del '500), di impreziosire con una veste colta e di rigore stilistico il coacervo di temi e moduli propri della narrativa fiabesca e popolare. Non soltanto i temi trattati (quello della bambina che cresce in una famiglia non propria è tipico della fiaba popolare), ma anche il tempo storico della narrazione, collocabile in un passato pieno remoto, e la collocazione geografica (che, dai nomi dei personaggi al paesaggio, riconduce a certi Paesi dell'Est Europeo), contribuiscono a conferire una ricercata e consapevole architettura stilistica dell'opera." (P. Lupo)
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