Stranieri in terra straniera. Dal Romanticismo a Nietzsche

Stranieri in terra straniera. Dal Romanticismo a Nietzsche

In una pagina dei “Parerga e Paralipomena” (1851) Schopenhauer vagheggia «una storia della letteratura tragica» che racconti il «martirio» patito dai «veri illuminatori dell’umanità», incompresi ed emarginati dai loro contemporanei. Una storia della letteratura sub specie alieni, dunque. Il libro che il lettore tiene fra le mani vorrebbe essere il semplice abbozzo di questo progetto colossale e intende far luce su alcune figure esemplari di alterità comparse in ambito filosofico-letterario fra la fine del Settecento e la Seconda Guerra Mondiale. Novalis, Chateaubriand, Coleridge, Byron, Carlyle, Thoreau, Schopenhauer, Nietzsche e Friedrich Georg Jünger: questi alcuni degli outsider analizzati, le cui fisionomie, allucinate e fraterne, mostrano il volto della forma antropologica che, sin dal Romanticismo, si aggira, solitaria e chiaroveggente, per le strade della nostra civiltà «senza volto e meraviglia» (Kerouac): lo straniero antimoderno. Questi vive in esilio in una terra che gli appare estranea ed inquietante. Si sente contemporaneo di spiriti scomparsi, fratello di sodali ormai estinti e di casa in un mondo tramontato. Su di lui spira il soffio gelido di una solitudine così estrema da risultare inconcepibile per gli uomini del suo tempo. È la voce che ricorda una saggezza del passato nell’epoca del suo oblio e della degenerazione dell’umano. Ex alieno salus.
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