L'uomo è un algoritmo? Il senso dell'umano e l'intelligenza artificiale

L'uomo è un algoritmo? Il senso dell'umano e l'intelligenza artificiale

Il mito di Ulisse ci insegna che la ricerca umana di senso è guidata dall’intelligenza, nelle sue due declinazioni: νοῦς e μῆτις, intuizione e pratica. Dalla sinergia di queste facoltà sono nate le grandi invenzioni che segnano la nostra specie, a partire dalla «grande invenzione del linguaggio». Oggi però il linguaggio non sembra più una prerogativa esclusivamente umana: l’Intelligenza Artificiale, nelle vesti di ChatGPT e dei Large Language Models (LLM), ha introdotto una lingua computazionale che riconfigura in modo nuovo parola e pensiero. Paolo Benanti ci accompagna in una breve e suggestiva riflessione etica sul paradosso della tecnica, pur riconoscendone le potenzialità: questa estensione della nostra «naturalità artificiale» sembra infatti sempre meno orientata a mappare la realtà e sempre più propensa a confonderci. Muovendosi tra informatica, filosofia e spiritualità – da Turing a Searle, da Scheler a Jonas – Benanti avanza una proposta semplice ma dirompente, capace di restituire centralità alla dimensione umana. Recuperare oggi un «pregiudizio umanista» non significa infatti ripudiare il progresso, ma riaffermarne la sfida più autentica: vivere una vita buona e consapevole. L’intelligenza algoritmica deve tornare a essere uno strumento nelle nostre mani, al servizio della piena dignità umana. È alle università, oggi, che spetta il compito fondamentale di creare nuovi «paesaggi culturali», dove ritrovare il senso delle nostre creazioni e delle nostre vite.
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