GAP. Grottesco adolescenziale periferico
Fedor ha sedici anni, in giro lo chiamano il River Phoenix di Inganni, quartiere della periferia ovest di Milano. Insieme ai suoi amici, il Moro e Leo, si preparano a girare un video hip-hop per una rapper loro coetanea. Si esercitano, sperimentano, s’improvvisano attori sotto la regia marziale del Moro, in fissa con il cinema e la recitazione. Fedor, però, ha anche una vita che nessuno conosce: mentre accudiva la madre ha scoperto il Fentanyl, e ne è diventato dipendente. Sempre a corto di soldi, viene introdotto in un giro di appuntamenti dove uomini adulti pagano giovani adolescenti per inscenare incontri in cui possono diventare altro da sé. Come un equilibrista senza rete, il ragazzo si muove su un vuoto che somiglia tanto alla vita normale, tra i film, le serate con gli amici e la forza bruciante del primo amore, mentre la dipendenza dal Fentanyl e gli appuntamenti diventano sempre più pressanti, crudeli, pericolosi. La voce di Fedor, nella scrittura di Di Stefano, ha il respiro di questi tempi, delle zone segrete, oscure e incandescenti di una giovinezza che si aggrappa a sé stessa e si racconta in tutta la sua purezza e la sua crudeltà. E prende alla gola, come un grido strozzato. "“Sono preso male. Preso male vuol dire tante cose, lo so, ma in questo caso vuol dire proprio quella cosa lì, tipo che sento una stretta qua, nello stomaco, e faccio fatica a respirare."
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