Solo bagaglio a mano

Solo bagaglio a mano

Non ingombrare, non essere ingombranti: è l'unica prospettiva che si possa contare fra quelle positive, efficaci, forse anche moralmente e politicamente buone. Gabriele Romagnoli ha avuto modo di pensarci in Corea, mentre era virtualmente morto, chiuso in una cassa di legno, per un bizzarro rito-esperimento. Nel silenzio claustrofobico di quella bara, con addosso solo una vestaglia senza tasche (perché, come si dice a Napoli, "l'ultimo vestito è senza tasche"), arrivano le storie, le riflessioni, i pensieri ossessivi che hanno a che fare con la moderazione. Il bagaglio a mano, per esempio. Un bagaglio che chiede l'indispensabile, e dunque, chiedendo di scegliere, mette in moto una critica del possibile. Un bagaglio che impone di selezionare un vestito multiuso, un accessorio funzionale, persino un colore non invadente. Il bagaglio del grande viaggiatore diventa metafora di un modello di esistenza che vede nel "perdere" una forma di ricchezza, che sollecita l'affrancamento dai bisogni, che non teme la privazione del "senza". Anche di fronte alle più torve minacce del mondo, la leggerezza di sapersi slegato dalla dipendenza tutta occidentale della "pesantezza" del corpo, e da ciò che a essa si accompagna, diventa un'ipotesi di salvezza. Viaggiare leggeri. Essere leggeri. Vivere leggeri. Gabriele Romagnoli centra uno dei temi decisivi della società contemporanea e della sopravvivenza globale e scrive una delle sue opere più saporite, il racconto di una rinascita, di un risveglio.
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Recensione del libro fornita da lottavo.it

Di Geraldine Meyer

“Solo bagaglio a mano” è un bel libro. E, se si volessero seguire alcuni dei consigli che l’autore ci regala nel testo, potrebbero anche bastare queste parole. Ma, come spesso accade, più un libro sembra cesellato nella difficile materia della sottrazione, più pare suscitare parole e riflessioni. E così, dopo aver terminato la lettura di questo libro di Romagnoli, si resta un po’ “fermi”, un po’ storditi e poi ci si accorge che i pensieri stanno bussando alla porta. L’espediente letterario, il pretesto diciamo da cui prende il via questo racconto/riflessione/diario di bordo, è una specie di rito che in Corea del Sud sta prendendo molto piede: farsi chiudere in una bara, prepararsi alla propria morte (inscenandola) e, al chiuso di quel pezzo di legno, lasciarsi andare, forse davvero per la prima volta, pensando a quella che è stata la propria vita. Detto così non rende, forse, la potenza di questo libro...

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