Lingua di falce
La narrazione, sempre fortemente autobiografica, riprende da dove il primo romanzo si interrompeva e copre gli anni della giovinezza: dalla partenza per Salerno nell’autunno del 1962 al superamento del primo esame universitario, nell’estate del 1965. Da questo tronco principale si diramano storie secondarie, spesso affidate a una pluralità di voci, quelle degli abitanti del paese, la comunità arcaica che Ledda chiama “Nuraggine”, destinata di lì a poco a scomparire. Ne risulta un’opera estremamente personale che sa però affrontare anche temi universali – la ribellione contro l’autorità, la dialettica tra uomo e natura, il conflitto tra tradizione e progresso. E ancora: l’identità socio-antropologica, l’emigrazione, il percorso verso la conoscenza – con un linguaggio unico, un italiano arricchito dal sardo e nutrito di immagini di vibrante concretezza.
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