Perché siamo in guerra?

Perché siamo in guerra?

Gli Stati Uniti non sono andati in guerra. Sono ancora in guerra, anche dopo la vittoria sull'Iraq. Uno dei piú grandi scrittori d'America, 'conservatore di sinistra', spiega perché, invece di agitare la bandiera del patriottismo, è il momento di preoccuparsi per la democrazia. E ricostruisce i motivi inconfessabili per cui "Bush e compagni" sono forse già preparati "a subire un nuovo colossale attacco terroristico". Un pamphlet coraggioso, che è anche una lucida meditazione sull'11 settembre, sui valori americani originali, sul terrorismo e sulla morte. Mailer ha iniziato a scrivere questo libro quando la guerra all'Iraq non era stata ancora dichiarata, e l'ha concluso dopo la vittoria americana. Non ha mai avuto dubbi sul titolo: è sempre stato, prima e dopo, "Why Are We at War?", "Perché siamo in guerra?" Dopo I'11 settembre, che è anche "un simbolo, gigantesco e misterioso, di qualcosa che ancora ignoriamo", molte cose sono cambiate per sempre. E Bush coglie l'occasione per imprimere il suo segno al cambiamento, insieme al gruppo di "conservatori con bandiera" alla Wolfowitz, quelli che fin dalla caduta del Muro di Berlino avevano pronta una ricetta per l'America come Impero mondiale. "Siamo andati in guerra, potremmo dire, perché avevamo bisogno di una guerra vittoriosa che funzionasse da ricostituente psichico. Qualunque pretesto, purché enorme, andava bene". Ma se dietro l'idea dell'America come Impero si muove un micidiale intreccio di miopie politiche, crisi sociale e nuova fortissima rapacità delle grandi compagnie, tale da mettere forse per la prima volta in discussione la stessa democrazia, allora "è giunto il momento di iniziare a chiederci se siamo pronti a soffrire in sua difesa, piuttosto che prepararci a trascinare un'infima esistenza in una monumentale repubblica delle banane il cui governo è perennemente ansioso di fare il servo alle megacorporazioni".
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