Pregate per ea

Pregate per ea

Tutto comincia con un inciampo: una camminata tra i boschi della Val d’Asta, nell’Appennino emiliano, e il nome di una donna scolpito su una pietra. «Pregate per ea», dice la lapide. Massimo Zamboni raccoglie quell’invito a preservarne la memoria scegliendo di affiancare il racconto alla preghiera. La cronaca dell’uccisione di Domenica Gebennini – vittima imperfetta, che forse «se l’era cercata» – è la storia di una piccola comunità di montagna che per sopravvivere ha preferito il proprio codice eterno alla giustizia, perché «le radici hanno bisogno di oscurità per prosperare». Con una scrittura che è insieme asciutta e poetica, capace di far parlare la terra, i sassi, le stagioni, Zamboni dà forma al suo personalissimo requiem per Domenica, senza cercare colpevoli o assoluzioni, ma evocando un coro di personaggi che torna dal passato per interrogare i vivi. Durante una camminata nei luoghi familiari, l’apparizione di una lapide nascosta in un bosco. C’è un nome, Domenica Gebennini, una data, il 1870, l’accenno a una morte violenta. La storia di quel delitto si tramanda da un secolo e mezzo nella Val d’Asta, ma nessuno sembra conoscerla davvero: questo capita nelle valli chiuse, dove la conca delle montagne trattiene le voci, le mescola e le distorce, e in cui «il non detto governa più dell’indicibile». Massimo Zamboni, che con quel crinale d’Appennino ha consanguineità, accoglie come un richiamo l’incontro fortuito con la pietra scolpita, mettendo in moto un’indagine letteraria che è anche una discesa nel tempo profondo, dove i documenti storici si confondono con le dicerie, gli atti giudiziari con le leggende familiari. Pregate per ea è il racconto di una uccisione che si fa operazione di memoria collettiva. Massimo Zamboni ci consegna così il ritratto di una comunità di montagna in bilico tra due ordini: quello antico, fondato su vincoli di sangue, onore e necessità; e quello del nuovo Regno d’Italia, con le sue leggi, i suoi tribunali, le sue carte, la sua lingua che tradisce – con la pretesa di correggerla – la lingua dei paesani. Un romanzo che è insieme ricostruzione e affabulazione, archivio e canto, un atto di giustizia narrativa e affettiva.
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