La fortuna dei primitivi. Dal Vasari ai neoclassici

La fortuna dei primitivi. Dal Vasari ai neoclassici

"La fortuna dei primitivi" comparve nel 1964 e subito si rivelò un testo di grande importanza critica e di profonda suggestione storiografica. Non era solo l'interesse per un argomento finalmente messo in luce con ricerche di prima mano e di cui Previtali rivelava gli aspetti inediti e trascurati, a costituire il successo del libro; colpiva la passione polemica con cui erano discussi i rapporti tra le varie interpretazioni dei "primitivi" e la storia della società italiana.La "storia della critica" assume qui un punto di vista diverso da quello di solito adottato: non ricostruisce poetiche e teorie che starebbero a sostegno del lavoro degli artisti, ma indaga quel lavoro alla luce della concreta fortuna che le idee d'arte e le conoscenze concrete dei dati storico-artistici ebbero via via. Una novità di metodo, che risultava proficua proprio perché intrecciata strettamente a fattori non solo artistici. La riflessione di Previtali muoveva dalla constatazione del rischio corso dalla nostra cultura artistica di dimenticare una parte decisiva del proprio passato, lasciando decadere o andare distrutte le opere di Giotto, di Masaccio, di Cimabue, di Mantegna. Quel rischio fu avvertito da pochissimi, che ebbero il merito non solo di mantenere aperta la questione, ma di fornire le basi su cui disporre la successiva comprensione per l'arte dei "primi tempi".Due interpretazioni opposte dei "primitivi" si affrontarono: una li volle pittori semplici e devoti, ingenui e conservatori della tradizione, e se ne servì per opporli alla "decaduta" arte moderna; l'altra finì per riconoscervi, tra contraddizioni e giri viziosi, degli innovatori, legittimi antenati del realismo occidentale.Di queste contrastanti interpretazioni, Previtali indica l'origine in precisi fatti: la polemica che contrappose artisti e intellettuali di corte da un lato, intellettuali di curia e vasti strati del clero italiano dall'altro.
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