Piccola estate

Piccola estate

Momento di sospensione che si prolunga ad interim: non è estate, non è ancora autunno. E si dilunga in uno stato d'opacità sognante dove realtà e immaginazione si incrociano, in una sorta di montaliano delirio d'immobilità che avvolge uomini e natura. Ma il vissuto dell'autore non trova la calma che quel tempo prometteva. È inquieto. Specie quando, quasi sfruttando come una finestra temporale la pausa magica offerta dalla piccola estate, compaiono le figure di chi gli è stato vicino ed è scomparso. Flash onirici, fantasmi e ossessioni sfumano uno nell'altra in un vertiginoso rinviarsi, oscillano nel frammezzo inafferrabile che divide ricordo e presenza. L'esito è una condizione d'alta visionarietà resa con sofisticate sinestesie, cortocircuiti semantici, catene parlate che sfiorano il balbettio. Chi legge si chiede come ha fatto l'autore a gestire tante situazioni stravolgenti. E risponde osservando un diffuso distacco ironico capace di controllare i contrasti verbali più intensi. E conclude che anche questa lucida gestione della lingua fa di Pellegatta uno dei poeti più validi dell'ultima (forse già penultima…) generazione.
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